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ROMA / 18-10-2010

DONNE, POLITICA E POTERE IN ITALIA: LE RESISTENZE DELLA CULTURA ITALIANA/ Intervista all'on. Monica Cirinnà

Riflessioni su politica, potere e ruoli della donna in Italia, un contesto culturale ancora difficile e complesso. leggi l'intervista e dai la tua opinione



A cura di Alessandra Sorge


Nello stridente contesto politico-culturale italiano il ruolo della donna, in relazione alla politica e, più in generale al potere, si contestualizza in uno scenario dominato da notevoli reticenze culturali. Il ritardo italiano nella rappresentatività femminile al potere ne è, senza ombra di dubbio, l'esempio più eclatante.

Nonostante il parlamento europeo abbia dato precise disposizioni in materia di parità uomo-donna, L'Italia si trova, nostro malgrado, nelle retrovie della rappresentanza politica nazionale.

Nell'intento di chiarire tale aspetto, l'onorevole Monica Cirinnà, Presidente della Commissione delle elette in Campidoglio, esponente del partito democratico, da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle fasce più deboli, quale gradito relatore della prossima conferenza della Professional Women's Association, intende offrire un momento importante di riflessione sulle dinamiche della politica in relazione all'universo femminile in Italia:


    Gentile Onorevole Cirinnà, l’Italia è uno dei paesi d’Europa con minore presenza femminile in Parlamento. Quali sono i fattori culturali che hanno determinato questa marginalità della donna nei luoghi decisionali della politica?


Le ragioni culturali dello specifico ritardo italiano nella rappresentatività del genere femminile nelle istituzioni politiche possono individuarsi nella particolare storia antropologica del nostro Paese: il radicamento della cultura cattolica e l’intero ventennio fascista hanno senza dubbio influito, aggravandone la struttura culturale preesistente, sul c.d. ‘familismo italico’ tutto basato sulla presenza dell’angelo del focolare che si dedica alla prole e alla cura della famiglia.

Una famiglia di tipo esteso, almeno sino agli anni ’60, a tutt’oggi piuttosto diffusa se prendiamo in esame il Sud e le zone rurali. Su queste basi si è radicata non soltanto la scarsa presenza delle donne in politica, ma anche una presenza maschile particolarmente poco sensibile alle istanze di genere, che ha ritardato notevolmente lo sviluppo di tutte le politiche che avrebbero potuto favorire la presenza delle donne almeno nelle professioni, se non da subito nelle aree decisionali, nonché nelle istituzioni.

Ritardare la presenza delle donne nelle professioni intellettuali (insegnamento, magistratura-avvocatura, campo medico, etc) ha indubbiamente ritardato la capacità, anche per ragioni statistiche, di salire ai vertici dei diversi ambiti professionali.

La scarsa presenza oggi, delle donne in politica, che pure aveva avuto significative interruzioni nell’immediato dopo guerra (si pensi a Nilde Jotti presidente alla Camera) va invece più propriamente ricondotta alla inamovibilità delle classi dirigenti dei Partiti italiani, una tendenza gerontocratica, anch’essa specifica del nostro Paese, cha impedisce il ricambio sia generazionale che di genere.

Questa base culturale specificamente italiana è da considerare, io credo, come causa prima del ritardo di rappresentatività delle donne nella politica italiana. Perché se la retorica dell’angelo del focolare ha indotto gli uomini ad occupare senza reticenza tutto lo spazio di rappresentanza è pur vero che le donne italiane lo hanno scarsamente impedito, giungendo tardi e con scarsa organizzazione a reclamare il proprio spazio decisionale e di rappresentanza.

Poche recenti esperienze di organizzazione di movimenti ‘lobbistici’ a favore del sostegno alla candidatura femminile, quale ad esempio è stato Emily, mostra esplicitamente la tuttora debole capacità delle donne italiane di pensare in termini di ‘presa del potere’ a favore del proprio genere.

In tempi ancora più recenti va osservato l’effetto, ulteriormente frenante, che la legge elettorale italiana, a liste bloccate, ha avuto sul già deteriore vizio italico alla cooptazione da parte della leadership di partito. Tanto a sinistra quanto a destra si è avuta una selezione della rappresentatività femminile a volte persino imbarazzante, con una accentuazione, nei partiti conservatori, della valorizzazione del cosiddetto capitale erotico a favore dei criteri di cooptazione (recenti affermazioni dell’on. Stracquadanio a questo proposito).

Ovviamente una legge elettorale che esclude nei suoi presupposti criteri di trasparenza con cui selezionare il merito e la capacità di rappresentanza territoriale e di interessi dei candidati, costituisce, attualmente, uno degli elementi più penalizzanti per l’ascesa delle donne verso il Parlamento italiano. E questo accade nonostante il Pd, ad esempio, abbia nel proprio statuto l’obbligo a comporre le liste secondo una percentuale di rappresentanza dei generi del 50%. Ma tale obbligo, che favorisce la presenza quantitativa delle donne, non comporta la cosa più importante, ovvero l’obbligo a porre le candidate in condizioni di pari eleggibilità. Infatti alle donne viene sempre riservata la posizione di lista o il collegio la cui capacità di eleggibilità è fortemente improbabile.


    Secondo Lei, esistono ancora oggi delle forme latenti di sessismo in politica? E se si, quanto incidono sulla stabilità della democrazia?


Parlare di forme latenti di sessismo riferite al nostro Paese suona, oggi, come un insopportabile eufemismo. Purtroppo siamo nel pieno di una rimonta culturale, guidata dal modello ispiratore dell’attuale governo italiano, di un sessismo non soltanto mal celato, ma addirittura professato come legittimo (es. il già citato On. Stracquadanio che ritiene la bellezza fisica un legittimo tramite per il successo in politica).

Le notorie prese in giro ai danni della presidente del maggiore partito di opposizione, il PD, da parte del presidente del Consiglio, sebbene da più parti liquidate come incontenibile spirito umoristico del Presidente Berlusconi, denunciano la ripresa di una cultura maschilista mai sopita, nella quale il sessismo trasuda dal linguaggio e dai contenuti espressi. E non si tratta soltanto del tema della ‘bellezza/bruttezza’ fisica ad essere costantemente evocato, quanto l’evidente scopo di delegittimare il potere di una donna, l’on. Bindi in questo caso, che in nessun modo si adegua alla cultura sessista preferita dal Presidente del Consiglio (es.: il ringiovanimento estetico, la disponibilità a corrispondere al desiderio maschile, l’essere single e attiva socialmente, coltivare valori etici non disponibili ai compromessi…..)

Queste forme di sessismo, insinuate anche attraverso mezzi umoristici, dalle massime cariche dello stato (il recente esempio della governatrice del Lazio Renata Polverini che si lascia riprendere da tutti i TG mentre a mo’ di badante imbocca il ministro Umberto Bossi) comportano la legittimazione di un modello culturale che nel nostro Paese resiste in molteplici forme: la pressoché nulla presenza femminile nei CdA delle società pubbliche e private, la scarsissima realizzazione dei servizi necessari a liberare il tempo delle donne dai carichi di lavoro e di cura della famiglia, la persistente sperequazione nelle retribuzioni, il costante aumento della disoccupazione femminile accentuato dalla crisi economica, la presenza, sempre più inquietante, di forme contrattuali che costringono le donne a lasciare il lavoro ( vedi la recente indagine di Riccardo Iacona realizzata per Rai 3 – Presa diretta - sui contratti delle compagnie aree che impongono clausole con obbligo a turnazioni insostenibili per le madri lavoratrici CAI, anche con figli da zero a tre anni) sino alla più volte ribadita carenza di rappresentanza a livello istituzionale e politico.

In un simile quadro è lo stesso dettato costituzionale, di uguaglianza di tutti i cittadini, ad essere disatteso. Ne consegue un danno per la democrazia dovuto, nei suoi aspetti basici, alla mancanza di rappresentanza della metà almeno dei cittadini italiani e delle loro istanze di vita. Per non parlare dell’enorme potenziale creativo e culturale, ormai accertato da tanti studi internazionali, che le organizzazioni private e pubbliche italiane perdono a causa dell’assenza di apporto del talento specificamente femminile.


Legge anti stalking: la tutela della donna e il rafforzamento a livello nazionale del suo ruolo sociale passa necessariamente per la concreta protezione dei suoi diritti. In quale direzione si sta muovendo lo Stato affinché la condizione della donna possa migliorare giuridicamente?


Credo di poter individuare nella tradizionale iper-produttività legislativa italiana, cui corrisponde una altrettanto tradizionale tendenza alla non osservanza delle leggi in vigore, una delle più marcate cause di scarso progresso nella tutela dei diritti delle donne.

Dunque non è tanto la mancanza di leggi a tutela e a protezione di questi diritti che dobbiamo denunciare, quanto una frustrante e costante tendenza a disattenderne il contenuto.

Ad esempio molti casi di denuncia di stalking alle forze dell’ordine restano fondamentalmente privi delle conseguenti e adeguate misure protettive, con epiloghi spesso tragici per coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare. Questo fenomeno, se da un lato dovrà indurre il Parlamento italiano a considerare la produzione di provvedimenti più stringenti sulle misure cautelari da adottare in seguito alle denunce di stalking, dovrebbe però, innanzitutto, indurre le Istituzioni tutte, a farsi promotrici di una cultura dei diritti delle donne che aiuti l’intero contesto sociale a divenire sostanzialmente rispettoso e protettivo nei confronti di donne vittime di violenza. In questa direzione dovrebbe andare anche la promozione di una rete di sostegno che parta dalle donne verso le donne entro le famiglie, per poi estendersi alla promozione e sostegno delle associazioni e dei gruppi di tutela di tali diritti. (Esemplare il recente caso della donna afgana uccisa dal marito. La donna si era rivolta alle forze dell’ordine per segnalare la pericolosità dell’uomo, ma non ha avuto alcuna protezione, infatti è stata poi uccisa dal marito, mentre la figlia è rimasta gravemente ferita per i colpi inferti dal fratello). Questo caso di violenza entro una etnia che prevede un controllo totale sulla vita delle donne (il matrimonio è deciso e organizzato dal padre in Afganistan) è un tipico esempio di come la richiesta di diritti da parte delle donne immigrate comporti un aumento di richieste di tutela e di aiuto verso le nostre Forze di polizia o verso i centri di sostegno. E’ evidente che questo comporta la necessità di adeguare i centri di antiviolenza con uso di mediatori culturali, nonché l’esigenza di sviluppare politiche che facilitino una migliore integrazione nel tessuto sociale delle cittadine immigrate allo scopo di sostenere le loro crescenti richieste di diritti e di tutela.

Riguardo alla differenza di applicazione della Legge anti stalking tra nord e sud sembra non ci siano differenze sostanziali nel numero di denunce: aumentate sia a nord che a sud del 25% nell’ultimo anno (dati del Ministero delle pari opportunità)

E se questo dato sarà confermato nel tempo non si può non sottolineare il comportamento particolarmente coraggioso delle donne del sud, le quali denunciano nonostante un contesto sociale molto più pericoloso: la presenza delle organizzazioni criminali che usualmente utilizzano messaggi intimidatori, sino all’uccisione delle donne che osano denunciare casi di violenza, vedi il recente caso di omicidio di Teresa Buonocore a Napoli); o il fatto che a sud di Roma non esistono Case di accoglienza per donne vittima di violenza.

Quindi se in generale è difficile segnalare e denunciare casi di molestia maturati entro le mura domestiche (questo potrebbe essere il caso del recente omicidio di Sarah Scazzi) diventa un atto davvero eroico dove la rete di centri di sostegno alle donne è del tutto assente.


    Perché votare una donna se dice le stesse cose di un uomo? Quanto è importante la diversificazione del linguaggio politico di una candidata donna rispetto ad un uomo, ammesso che ciò lo sia?


Dalle mie numerose campagne elettorali (già 5 volte candidata ed eletta nel Consiglio comunale di Roma con sistema elettorale a preferenza unica) ho acquisito una certezza: il voto delle donne alle donna ha, come presupposto, l’uso di un linguaggio e di un comportamento riconoscibile da parte delle donne. E questo mi dà la certezza che l’affermazione delle donne in politiche passa anche attraverso il coraggio delle donne di proporsi con la propria specificità di genere, piuttosto che con un linguaggio clonato dai codici maschili.

Questa capacità/possibilità di divenire eleggibili anche attraverso l’affermazione di un linguaggio espressivo delle specifiche istanze femminili corrisponde, tra l’altro, alla necessità di affermare quelle istanze e la loro legittimità: saper parlare di tempi, di servizi, di cura alla persona, di educazione, di violenza e di pace può non essere uno specifico femminile, ma è certo che la competenza femminile su questi argomenti è di norma superiore e di impatto diretto sulla vita delle donne.

L’arricchimento del linguaggio politico che la presenza delle donne può favorire va oltre l’introduzione e l’attenzione a tematiche di specifico interesse femminile perché, come emerge da numerosi studi, è la stessa organizzazione dei tempi e dei modi della politica a risultare modificati e migliorati dalla presenza femminile. L’agire politico si fa più pragmatico, più efficiente e più efficace laddove l’apporto delle donne è presente e reiterato nel tempo.

Il guadagno complessivo della società tutta derivante dalla presenza delle donne nelle aree decisionali può essere facilmente desunto da un dato: le società con cospicua presenza femminile nei CdA hanno sopportato molto meglio le fasi della crisi economica. Analogamente le società che hanno dato attenzione alle necessità delle donne, ad esempio realizzando asili nido all’interno della sede di lavoro, hanno registrato un migliore andamento economico negli ultimi due anni rispetto alle aziende, dello stesso settore, che non forniscono questi servizi.


    Al momento attuale quali sono le priorità della Commissione in Campidoglio?


Il filo conduttore che la Commissione ha scelto per le proprie iniziative è la violenza sulle donne, con un quadro di progetti e provvedimenti tesi a denunciarla e a combatterla.

Quando si parla di violenza sulle donne è l’accezione più ampia del termine ‘violenza’ che bisogna tenere presente.

L’esclusione delle donne dalla politica e dalle aree decisionali potrebbe sembrare non riconducibile al concetto di violenza, se intendiamo la violenza soltanto come azione aggressiva di tipo fisico o psicologico. Ma la violenza che le donne subiscono e pagano in termini di qualità della vita e di depauperamento del loro potenziale vitale deriva anche, e soprattutto, dalla loro esclusione dal lavoro, dalla decisione, dalla rappresentanza e in generale dalla possibilità di occupare posizioni sociali autenticamente paritarie e non discriminate. E’ da questa violenza estesa che possiamo più correttamente interpretare le aggressioni entro le relazioni affettive e parentali, nonché le violenze psicologiche, che vede ancora le donne, assurdamente, oggetto di derisione, delegittimazione, umiliazione, offesa, sul lavoro o nelle relazioni private o pubbliche.

E’ nel corso di un Consiglio comunale (tenuto il 9-1-2009) specificamente dedicato alla sicurezza delle donne, che la Commissione delle Elette ha chiesto e ottenuto che si votasse uno specifico provvedimento che vincola il Comune di Roma a costituirsi parte civile in tutti i procedimenti giudiziari connessi a violenze sulle donne.

Nel corso dello stesso Consiglio si è votata la riattivazione del servizio “H. 24 Donne” per le donne vittime di violenza che si rivolgono al pronto soccorso; il rafforzamento dei Centri comunali di accoglienza per le donne vittime di violenza; il rifinanziamento di tutte le attività comunali relative al contatto e al recupero delle donne sfruttate e schiavizzate dal mercato del sesso e a seguire tutta una serie di provvedimenti per la sicurezza delle donne in aree degradate e potenzialmente pericolose per le donne durante gli spostamenti in città.

Ritengo di particolare pregnanza il successo della Commissione nell’aver promosso e ottenuto una delibera specifica contro la pubblicità lesiva della dignità della donna. Si tratta di una delibera che obbliga il Comune di Roma a recepire e rendere operativa la risoluzione n. 2038 del 3 settembre 2008 del Parlamento europeo relativa all’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra uomini e donne. Si tratta di una direttiva che in Italia, forse più che altrove in Europa, ha urgente bisogno di essere applicata e sostenuta. La delibera prevede la stesura di un regolamento interno di affissione e pubblicità per inibire gli spazi di proprietà comunali a tutte quelle immagini che ledono la dignità delle donne attraverso la rappresentazione femminile secondo stereotipi, mercificazione del corpo, modelli sessisti. 



La conferenza dell'on. Monica Cirinnà, promossa dalla Professional Women's Association of Rome, avrà luogo mercoledì 20 ottobre 2010 presso la sala conferenze del Boscolo Hotel Aleph di Roma, alle ore 18,30.

Per info: www.pwarome.org







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