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VITERBO / 08-03-2011

TUSCIA, ARSENICO: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE / il trattamento dell’arsenico nelle acque potabili






TUSCIA, ARSENICO: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE. Il trattamento dell’arsenico nelle acque potabili.
Ultime notizie - Viterbo -
Proseguendo nelle note sulla problematica dell’arsenico, dopo esserci soffermati sui rischi per la salute pubblica associati alla presenza di questo elemento chimico negli alimenti e nelle acque potabili in concentrazioni superiori  alla norma, dopo aver analizzato il meccanismo d’azione dell’arsenico nella cellula e considerato in dettaglio il testo coordinato del Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 "Attuazione della Direttiva 98/83/CE", negli articoli e nei comma che, se puntualmente applicati, avrebbero potuto difendere il cittadino,  intendiamo ora discutere dei  principali processi  di trattamento sviluppati per le acque inquinate. Il nostro materiale di riferimento sarà il rapporto N° 600/R-01/033 dell’Agenzia di Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti d’America (EPA), stilato dai ricercatori  Michael J. MacPhee, Gail E. Charles e David A. Cornwell nel Giugno del 2001, considerato uno dei trattati più completi in materia e reperibile nel testo originale sul sito internet www.epa.gov/nrmrl/pubs/600r01033/600R01033.pdf. 


Nel documento si riportano gli studi del laboratorio di Ricerca per il Controllo del Rischio Nazionale e della Divisione delle Risorse e della Fornitura dell’acqua, per determinare l’efficacia di diversi processi di trattamento per la rimozione dell’arsenico dalle acque potabili, al fine di fornire il supporto tecnico e le soluzioni tecnologiche per promuovere nuove regolamentazioni ambientali e strategie di intervento nazionali. Esattamente quello che il Governo Italiano e gli Enti locali si erano impegnati a fare da diversi anni nella richiesta di deroga ai sensi della direttiva 98/83/CE del Consiglio concernente la possibilità in deroga di mantenere ad uso potabile acque con di concentrazioni di arsenico superiori a quelle definite dalla legge. Impegni evidentemente non mantenuti. Dalla relazione si evince che, indipendentemente dalle soluzioni ingegneristiche di impianto scelte, esistono delle tecniche miglioriper la rimozione dell’arsenico, tra le quali il processo di scambio Ionico, i trattamenti di membrana, la filtrazione con allumina attivata, ed il sistema di rimozione denominato ferro-manganese.


Nel primo caso, la procedura si basa sull’impiego di resine a scambio ionico del tipo “basico forte”, in grado di trattenere l’arsenico [As(V)] tramite interazione colombiana, cioè sfruttando la differenza di carica esistente tra i gruppi funzionali presenti sulla resina ed i composti dell’arsenico (in sostanza, il processo si basa sul fatto che le cariche di segno opposto si attraggono). Le resine a scambio ionico hanno un preciso periodo di efficienza prima di andare in saturazione, oltre questo termine devono essere assolutamente sostituite e, qualora possibile (in base alle specifiche del prodotto), rigenerate tramite sospensione in una soluzione salina. L’allumina (Al2O3) è un ossido di alluminio naturale che può essere preventivamente attivato tramite esposizione in forno ad elevate temperature e basso vuoto. Una volta attivata, l’allumina (normalmente contenuta in capsule filtranti) presenta una elevata proprietà adsorbente che le permette di trattenere le impurità dell’acqua in contatto con la superficie delle sue particelle.


In questo caso le interazioni tra l’allumina ed i composti dell’arsenico sono denominate di tipo “debole” e l’efficienza del trattamento dipende in modo proporzionale dalla superficie delle particelle e dal tempo di contatto (quindi dalla durata complessiva del trattamento). In questi due ultimi trattamenti si produce un flusso di acqua depurata mentre il refluo è rappresentato dalla resina o dall’allumina esausta. Una situazione diversa viene invece a determinarsi nei processi di membrana quali l’osmosi inversa (OI) e la nanofiltrazione (NF). Normalmente la OI è usata per rimuovere i sali dall’acqua di mare (desalificazione), mentre la NF viene impiegata per la disinfezione delle acque potabili. Entrambi i processi tuttavia possono essere impiegati per la rimozione dell’arsenico. In questi ultimi casi la depurazione dell’acqua viene realizzata sfruttando la diversa dimensione delle molecole d’acqua (H2O) rispetto ai composti tossici dell’arsenico.


In particolare, si impiegano delle membrane semipermeabili, caratterizzate da pori di dimensione controllata sulla loro superficie. Mentre le molecole di H2O potranno attraversare i pori della membrana, i composti di arsenico, troppo grandi, verranno trattenuti, determinando complessivamente due flussi, uno di acqua pura e l’altro (più denso) di acqua altamente concentrata in arsenico (in sostanza si realizza  il flusso delle molecole d’acqua dalla soluzione più concentrata a quella meno concentrata). L’OI è normalmente più efficace della NF, pertanto negli impianti si procede normalmente tramite un primo stadio di NF che riduce la concentrazione di arsenico al valore di 15-5 g/L e quindi ad una OI che può arrivare a rimuoverlo totalmente. Nell’ultimo sistema, quello relativo al trattamento “ferro-manganese”,  i composti dell’arsenico vengono rimossi sfruttando delle reazioni chimiche (dette reazioni di ossido-riduzione) che provocano la precipitazione dell’arsenico dall’acqua sotto forma di sali insolubili.


 Durante il trattamento i composti di ferro e manganese sono alterati e di conseguenza i filtri dovranno essere rimossi una volta esauriti. Dalla comparazione delle diverse tipologie di trattamento su campioni di varia origine e concentrazione di arsenico i ricercatori hanno osservato che il trattamento “ferro-manganese” risulta essere, a parità di condizioni, quello più efficace assieme ai processi di membrana in sequenza NF/OI. Viene inoltre notato come l’alcalinità dell’acqua (ove presente) possa ridurre in modo significativo l’efficienza della purificazione. Indipendentemente dal tipo di trattamento, la validità complessiva del processo risulta dipendere in modo critico dalla manutenzione degli impianti, ed in particolare, dall’attento e periodico controllo della saturazione degli adsorbenti o dei filtri “ferro-manganese” così come dalla pulizia delle membrane. Pertanto, al fine di garantire la massima sicurezza di impiego, risulta necessario effettuare un controllo costante della concentrazione di arsenico in uscita dall’impianto, per provvedere tempestivamente ad interrompere l’erogazione dell’acqua non appena i valori di arsenico tornino ad aumentare.

Esistono inoltre importanti problemi legati allo smaltimento dei reflui ricchi in arsenico. Dobbiamo ora domandarci, le nostre efficienti amministrazioni comunali saranno in grado di garantire al cittadino questo attento controllo e manutenzione? Tenendo conto che si tratta delle stesse amministrazioni che nel periodo di deroga poco o niente hanno fatto in merito, qualche dubbio è più che lecito. Avranno sempre le risorse economiche necessarie? Certo, se si disponesse di una sorgente alternativa di acqua pura la soluzione più semplice sarebbe quella di diluire quella inquinata. Ma dove trovarla? Ci avviciniamo così all’ultima nota della serie, che si intitolerà “cosa andrebbe fatto, e cosa alla fine si farà”. Proveremo a fare qualche previsione circa la serietà di chi ci Governa. Se siete un po’ curiosi vi attendo la prossima settimana.



Prof. Raffaele Saladino
Capogruppo Italia dei Valori
Consiglio Provinciale di Viterbo

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