Disastro nave da crociera Costa Concordia. Toscana, ultime news Isola del Giglio, Grosseto - UnoNotizie.it - Assurdo. Impensabile. Nemmeno immaginabile. Sono solo alcuni dei termini usati nei forum del personale marittimo italiano, che comprende molti alti ufficiali, per definire quanto è avvenuto in quell’attimo preciso del 13 gennaio scorso, ore 21.40, a bordo del Costa Concordia, la più grande nave da crociera italiana, simbolo di un orgoglio nautico affondato quella tragica notte dinanzi all’isola del Giglio, trascinando con sé negli abissi, oltre alle vittime, le sorti dell’unico comparto nazionale con fatturati e occupazione in rapida ascesa: il settore crocieristico.
Lo sconcerto coglie in particolare i tanti membri del Forum che per anni avevano viaggiato su navi comandate da Francesco Schettino, considerato dalla stampa mondiale l’artefice del disastro, perché, dicono, conosceva il Concordia come le sue tasche e ancor di più il mar Tirreno, casa sua da oltre trent’anni di navigazione.
Il punto, allora, ben oltre le ricostruzioni gossippare che hanno colorito le cronache della tragedia, e anche al di là delle responsabilità successive all’urto, è precisamente questo: cosa può aver indotto il comandante di lungo corso Schettino a salire in plancia, quando la nave aveva già una rotta super-sicura programmata, sostituire la navigazione manuale a quella del pilota automatico e dirigere personalmente la nave contro gli scogli delle Scole, segnalati perfino nelle mappe per villeggianti e che lui stesso conosceva alla perfezione, per aver navigato decine di volte in quelle acque, inchini compresi?
Del resto, è proprio questa l’unica domanda alla quale Schettino non ha mai saputo dare risposte precise fin dal primo, lungo interrogatorio del 17 gennaio. Dinanzi ai PM di Grosseto farfuglia. S’inventa subito la storia dell’inchino, pur sapendo che a smentirla ci sarebbero stati tutti: a cominciare dal comandante Mario Palombo, cui sarebbe stato rivolto il presunto “omaggio”.
Spiega il P.M. Alessandro Leopizzi a Schettino, che aveva appena detto la bugia: «Il comandante Palombo si è detto sorpreso da quell’accostamento perché dal punto di vista turistico, ci racconta Palombo, era privo di senso, nel senso che non era navigazione turistica a gennaio col Giglio praticamente semideserto anche da un punto di vista delle luminarie, mentre invece tutte le altre accostate, quelle regolarmente pianificate dalla compagnia, erano state fatte ad agosto in occasione delle feste patronali.»
Allora Schettino tira fuori un’altra scusa: fare un piacere al maitre Antonello Tievoli, originario del Giglio: «Era una cortesia - dice - che mi aveva chiesto Antonello e dissi “Va bene, se ci sta il comandante Palombo a terra la facciamo, altrimenti no”». Palombo sull’isola non c’era. Si trovava nella sua casa di Grosseto.
Due giorni dopo il disastro è il padre di Tievoli a smentire categoricamente Schettino: «La nave passa ogni settimana e ogni settimana mio figlio ci avverte, ma non ha mai chiesto di passare così vicino, né lo ha fatto stavolta. Ci mancherebbe. La nave è sempre passata almeno a 400 metri di distanza, questa volta è andata sopra gli scogli. Non credo proprio che il comandante volesse fare un omaggio a mio figlio. Venerdì c’è stato un errore, qualcosa è andato storto.» Già. Ma che cosa?
Nessun omaggio né inchino, ormai è certo, in una notte gelida e buia di gennaio. Per tutti gli aspetti del dopo-incidente (le manovre, le scelte difficili di accostare la nave quanto più possibile alla riva per lo sbarco dei passeggeri), le ricostruzioni del comandante stanno trovando poco a poco conferme. Ma il buco nero resta proprio nei circa 20 minuti che hanno preceduto quel fatale momento: perché Schettino decide di accostare velocemente sotto gli scogli, dichiarando agli inquirenti addirittura di aver visto la scena dell’impatto “a occhio nudo”, dentro una plancia che, come in tutte le grosse navi da crociera, è più attrezzata della cabina di un super jet?
Il motivo, la ragione inconfessabile, quella che il comandante non può spiegare, è sicuramente un’altra. Schettino sa e non parla. Probabilmente, non può. Così come non possono confessarla, quella verità, gli alti ufficiali o le altre persone dell’equipaggio (forse qualcuno fra i quattro indagati del personale di bordo, oltre a Schettino e al suo secondo, Ciro Ambrosio) che ne erano a conoscenza. Tanto da non poter impedire l’accostamento stretto agli scogli del Giglio. Una verità che oggi si sussurra a mezza bocca. C’era qualcuno che doveva calarsi in mare velocemente dalla nave e raggiungere l’isola, o qualcosa da sganciare nell’area marina degli scogli ad essa limitrofi? Schettino - e chi con lui sapeva - furono costretti a quel passaggio azzardato, ma destinato ad andare ben diversamente, senza danni? Da chi fu indotto, e perché?
In un modo o nell’altro, grazie al lavoro tenace degli inquirenti, una verità dovrà venire a galla, senza ombre. Lo si deve a quei 25 morti nel naufragio ed ai sette dispersi accertati ufficialmente. Sempre che non ve ne siano stati altri, di passeggeri a bordo, non dichiarati.
Shaboo a bordo!
La ricostruzione della Voce prende le mosse da alcune circostanze inedite di tutta la vicenda. Particolari che potrebbero condurre molto vicini alle vere ragioni del folle gesto, di quel brusco accostamento di una nave da 117mila tonnellate alla costa rocciosa. Era insomma come se Schettino “dovesse” passare rapidamente in prossimità di quello scoglio, risultato fra l’altro di proprietà privata (come ha svelato il programma Quarto Grado, appartiene all’ultima anziana discendente della famiglia Rossi, gigliese). Per quale ragione? Ed è mai possibile che una “isoletta” accatastata regolarmente non fosse segnalata nelle mappe, come dice Schettino a botta calda ai PM?
Il comandante, è stato accertato dalle perizie, era sobrio e non faceva uso di stupefacenti. Le lievi “contaminazioni” da cocaina rinvenute sui capelli sono risultate “accidentali”. Di quella polvere, a bordo, doveva essercene. E non è una gran novità. Davvero. Perché quattro anni fa, solo quattro anni fa, a bordo del Concordia furono arrestati sette marittimi filippini che utilizzavano i viaggi dell’ammiraglia di casa Costa, soprattutto quelli che facevano scalo in Spagna, per trasportare un micidiale allucinogeno, lo Shaboo. «Le navi da crociera - spiega un ambientalista, Giovanni D’Agata - sono un canale considerato appetibile dai trafficanti di droga, soprattutto quelle che seguono rotte molto vicino alla costa e quindi meno controllate rispetto ai porti».
L’operazione del 2008 era stata condotta dalla polizia marittima di Savona - snodo di quello spaccio clandestino via mare - in collaborazione con la Dea di Miami e con i colleghi spagnoli. Barcellona e dintorni sono infatti diventate un avamposto mondiale per i trafficanti di stupefacenti, come dimostrano, da ultimi, i sequestri a raffica di ingenti capitali e immobili sulla Costa del Sol, a Tenerife o alle Canarie, disposti dalla DDA partenopea ai danni di narcotrafficanti affiliati alla criminalità organizzata campana, in primis i clan dell’area maranese e vesuviana. Traffici - si legge nei più recenti rapporti dell’Antimafia - che in tempi di globalizzazione spinta vengono oggi gestiti su scala internazionale, attraverso “cartelli” comprendenti le sempre più agguerrite e potenti mafie di altri Paesi.
Assalto alla Toscana
Ci arriviamo. E cominciamo ricostruendo alcuni contorni dei luoghi in cui si svolge questo autentico film dell’orrore. Partiamo dalla Toscana, diventata epicentro di traffici illeciti ad opera di numerose organizzazioni criminali. Fra le prime c’è la mafia russa. A dirlo è la Fondazione Antonino Caponnetto della Toscana nel suo Rapporto 2011 sullo stato del crimine organizzato in zona.
Dopo aver dichiarato fin dal titolo che alla data di pubblicazione il fatturato delle mafie in Toscana era pari a 15 miliardi di euro, il dossier si apre, non a caso, col capitolo sulla mafia russa, «che è presente in Toscana da diversi anni», con «zone a maggior rischio che rimangono, oltre alle coste, Forte dei Marmi, l’Isola d’Elba, Montecatini e la città di Firenze». Inoltre, «il recente ingresso in Toscana di società russe assieme alla ricchezza locale, può favorire un indotto criminale gestito dalla mafia russa», che investe prevalentemente «nel settore alberghiero». Così si conclude il capitolo: «Il Rapporto DIA del secondo semestre 2010 conferma la presenza della mafia russa in Toscana, in particolare a Montecatini, e consiglia di seguire l’evoluzione del riciclaggio nel gioco d’azzardo e nelle scommesse clandestine.»
Roulette russa
L’universo miliardario ruotante intorno al gioco d’azzardo, così come ai business delle slot machine e delle scommesse clandestine: ecco il piatto forte degli affari che i boss dell’ex Unione Sovietica stanno già da tempo gestendo in diverse zone della penisola italiana, accanto all’acquisizione di perle dei patrimoni immobiliari locali, con una particolare predilezione per i colossi alberghieri. Uno scenario in cui tavoli verdi, croupier e scommesse rappresentano il canale ideale per le forme più spinte di riciclaggio che si possano immaginare.
«Sui casinò a bordo delle navi da crociera - spiega un addetto alle sale giochi di una compagnia italiana - si accettano giocate dei passeggeri solo in denaro contante. Tutte banconote “fresche” che arrivano in enorme quantità da varie parti del mondo durante ogni navigazione, con controlli relativamente limitati, specialmente in acque extraterritoriali.»
Per il criminologo Federico Varese, docente a Oxford ed autore del recente “The Russian Mafia”, la presenza di una forte oligarchia di potere intorno a Vladimir Putin ha costretto i mafiosi locali ad estendere il proprio raggio d’azione sull’estero, puntando «prevalentemente su gioco d’azzardo e riciclaggio».
Ma fin dal 2006, quando si cominciò a parlare di un casinò da aprire nella Repubblica di San Marino, lo spettro della mafia russa fece la sua comparsa in grande stile, con tanto di «incontri su misteriosi panfili al largo della costa adriatica», come ricostruiva Il Giornale.
Secondo il rapporto reso a Bruxelles a marzo dello scorso anno dal procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato sulla “organizatsya” o “mafiya”, come la chiamano a Mosca e dintorni, «fonti dello stesso governo russo sostengono che circa il 40% delle imprese private, il 60% di quelle statali, nonché l’85% delle banche russe e il 70% delle attività commerciali sono soggette ad infiltrazioni o comunque sono sotto l’influenza delle organizzazioni criminali e quasi la totalità delle imprese commerciali nelle maggiori città della Russia è gestita direttamente o indirettamente da gruppi criminali».
Sul binomio gioco d’azzardo-mafia russa si sofferma anche il recente rapporto della Commissione parlamentare antimafia. Il presidente Beppe Pisanu accende i riflettori in particolare sul Casinò di Sanremo, che opera in un territorio reso incandescente dagli ultimi scioglimenti per mafia dei comuni limitrofi di Bordighera e Ventimiglia. «La Dia - scrive Pisanu - riferisce di indagini che hanno riguardato il Casinò di Sanremo, nell’ambito delle quali (seppur non vi siano state contestazioni di reati mafiosi) sono state accertate pericolose relazioni tra l’assistente del direttore ed un affiliato al clan camorristico Zaza, collegato a diversi clan operanti in Liguria.»
Nel mirino anche le slot machine, che riempiono interi saloni sulle navi da crociera. Il rapporto ricorda lo stratosferico debito (90 miliardi di euro) accertato dalla Corte dei Conti ed accumulato da alcune concessionarie che gestiscono in Italia le slot. Fra queste spicca «Atlantis World Giocolegale Ltd, filiale italiana della multinazionale del gioco Atlantis World Nv. (con sede nel paradiso fiscale di Saint Maarten, nei Caraibi), controllata da Francesco Corallo, figlio di Gaetano Corallo, già indiziato di appartenere all’associazione mafiosa catanese capeggiata da Nitto Santapaola (e coinvolto anche nei tentativi di controllo dei casinò di Sanremo e Campione d’Italia)». «Capitali russi ed ex sovietici in genere - conclude Pisanu - hanno garantito acquisti di strutture turistico-alberghiere in Italia ed anche in Liguria».
Domnica è sempre Domnica
Torniamo al disastro o, meglio, a quell’ora circa di navigazione che precedette l’impatto. Sgombrato il campo dai gossip delle prime ore, emergono infatti dettagli sulle qualifiche professionali di Domnica Cermotan, la donna che durante la manovra di “accostamento spinto” all’isola si trovava in zona plancia. La “moldava”, così come da tutti è stata ormai definita benché sia rumena, sotto le mentite spoglie di ballerina ed intrattenitrice, nasconde una preparazione di ferro. Conosce sette lingue ed ha spiegato ai pm che il suo compito era di diramare messaggi agli ospiti russi. È lei, Domnica, che quella sera si trovava a cena nell’esclusivo ristorante Club Concordia. Era al tavolo con Schettino e con un altro personaggio, il cui nome non è ancora stato reso noto. Stando alla testimonianza di una anziana coppia, “il terzo uomo” indossava un’uniforme. Schettino dichiara ai magistrati che con loro a cena c’erano «diversi ufficiali». Ma le foto scattate da una coppia che era al ristorante mostrano solo i tre. I pm hanno inoltre accertato che quella doveva essere una cena importante, visto che il comandante aveva chiesto al suo secondo ufficiale di rallentare la navigazione per farla durare più a lungo.
Cosa dovevano dirsi i tre, nei sessanta minuti e passa che precedettero l’arrivo in plancia di Schettino, “scortato” dalla Cermotan? E quando lei segue il comandante lo fa solo per rispondere a un gentile invito, come è stato scritto, o aveva un compito ben preciso da svolgere, secondo gli accordi suggellati durante l’“ultima cena” con il terzo uomo? Domnica è anche la persona che, subito dopo l’urto, si precipita nella cabina di Schettino per “salvare” il personal computer del comandante. Lo rimetterà nelle sue mani una volta in salvo sull’isola. Poche ore dopo, la mattina del 14 gennaio, un’altra donna lo prenderà in consegna all’Hotel Bahamas del Giglio, dove Schettino si era rifugiato nelle prime ore del mattino. E’ l’avvocato di Costa Crociere, Cristina Porcelli, inviata dalla compagnia al fianco del comandante. Interrogata a Grosseto, la donna nega di aver mai ricevuto il pc. Che però, di fatto, risulta tuttora irreperibile. Quali dati “sensibili” conteneva il computer del capitano? Probabilmente qualcosa che sia lui, sia Domnica, conoscevano bene. Il segreto, forse, di quella cena a tre.
I signori dei rubli
Chi o che cosa doveva arrivare quella notte sull’isola del Giglio? Di quali traffici era diventata avamposto inconsapevole la perla del Tirreno, paradiso dei sub di tutto il mondo? O quello che si doveva lanciare, passando radente lungo le coste dell’isola, era solo un segnale? Sta forse in questi interrogativi l’inconfessabile ragione che costringe Schettino a deviare la rotta, probabilmente con l’appoggio di qualcuno che, come lui, a bordo sapeva.
Così come, in un simile quadro, appare assai meno strana un’altra circostanza sbalorditiva rimasta fino ad ora senza spiegazione: le prime scialuppe che arrivano al Giglio quella notte servono a mettere in salvo esclusivamente tutti i 111 passeggeri di nazionalità russa presenti sulla nave. Mentre tanti si gettano in mare, durante gli attimi di panico che segneranno per sempre la loro vita, nei minuti tragici in cui c’è chi perde la vita intrappolato in cabina o perché cede il suo posto sui mezzi di salvataggio ad anziani e bambini, i signori dei rubli non incontrano difficoltà a trovare posto e a salire tutti insieme sui primi mezzi in partenza. Quasi che qualcuno fra loro, in precedenza, fosse già preparato ad una simile eventualità. Secondo le testimonianze, inoltre, non risultano turbati né particolarmente sconvolti, a differenza di tutti gli altri naufraghi. Cominciano, anzi, a fotografare l’isola da ogni angolatura, compreso lo scafo affondato, quasi fossero turisti “per caso”. Salvo poi costituirsi a fine gennaio (ma solo in 35) nel giudizio contro la Costa Crociere.
E quando tutti gli altri naufraghi trovano rifugi di fortuna grazie all’ospitalità dei gigliesi, i russi «vengono condotti in alberghi di Roma, Milano e Nizza», si legge su Russia Today.
La versione Dubinsky
Intanto, l’ombra di strani personaggi provenienti dal “reame” di Putin, con relativi traffici lungo l’asse Mosca-Toscana, arriva su tutta la vicenda Concordia anche sotto le spoglie di un sedicente funzionario del ministero dei trasporti russo, tale Andrei Dubinsky. Il quale lo scorso 25 gennaio si presenta sull’isola del Giglio a bordo di un panfilo dal nome già di per sé evocativo, 007. “Zero Zero Seven”: così si chiama lo yacht dal quale sbarca Dubinsky, accompagnato da quello che sembra essere un suo partner stretto in affari, il fiorentino Marcello Zeppi. Lo stesso che il giorno prima aveva preannunciato via mail al capo della Protezione Civile Franco Gabrielli (fra l’altro ex vertice dei Servizi segreti italiani) il loro arrivo.
La storia di Dubinsky e del suo strano partner in affari, Zeppi, ci riporta incredibilmente a Sorrento, patria del comandante Schettino. E vediamo perché.
Cinquantasei anni, originario del senese, l’intraprendente Zeppi comincia con una piccola impresa che si occupa di pitturazioni e imbianchinaggio degli edifici, la Eco Service con sede a Impruneta, quartier generale di tutte le sue future iniziative. Così nel corso degli anni, mentre Eco Service diversifica - prima nel business delle piastrelle da arredamento, poi nella commercializzazione di apparecchi per le pulizie di aerei e navi - il patron Zeppi si spinge fino ad arrivare, con un salto quadruplo, all’organizzazione di eventi attraverso la SMZ, acronimo di Studio Marcello Zeppi, che lo vede in pista con la giovane russa Tatiana Gribova. E’ lei che nel 2010 si siede alla tavola rotonda sulle “Eccellenze Fiorentine” come rappresentante della Citm srl. Vale a dire la casa costruttrice dello yacht 007 sbarcato al Giglio. Una società che vede Marcello Zeppi come socio fondatore e la stessa Tatiana in veste di liquidatore.
Quanto a Dubinsky, indicato dalla stampa come “misterioso magnate russo”, sul sito della Citm figura in veste di designer delle imbarcazioni. Come si arriva a Sorrento? A bordo degli 007, visto che partner primario della Citm (Centro Internazionale di tecnologie del Mare) made in Zeppi è l’armatore siciliano Carlo Rodriquez. Lo stesso che risulta indissolubilmente collegato, attraverso la partnership in SNAV, celebre compagnia di aliscafi e traghetti, a Gianluigi D’Aponte, l’armatore di Piano di Sorrento proprietario della Msc Crociere. Che è il primo competitor europeo di Costa Crociere.
Quel passato che ritorna
È l’alba del 6 novembre 2008 quando il comandante Mario Castaldi, 53 anni, residente a Piano di Sorrento, viene ritrovato sgozzato con un coltello da cucina a bordo della nave “Paxi-C” in navigazione al largo delle coste di Finisterre, in Spagna. Sposato, padre di tre figli, Castaldi aveva navigato per anni con la Msc, il colosso dei sorrentini D’Aponte, poi era passato con la compagnia Italtrag di Napoli, proprietaria della nave cargo comandata da Castaldi. La società armatrice, di lì a poco, andrà in fallimento.
Un’altra tragica vicenda, prima del naufragio del Concordia, aveva turbato la famiglia di Francesco Schettino. Mario Castaldi era infatti cognato del comandante ora ai domiciliari, avendo sposato una sorella della moglie Fabiola Russo. Una donna bella e forte, così viene descritta in paese la signora Schettino, che anche quella volta, quattro anni fa, aveva saputo imprimere fermezza e serenità a tutta la famiglia.
Ma proprio in queste drammatiche settimane, quando si attende l’incidente probatorio che deciderà il destino giudiziario del comandante Schettino, il fantasma della tragedia del 2008 sta tornando ad affacciarsi. A Sorrento circola voce che l’aggressore di Castaldi, l’allora trentasettenne Andrea Della Rasa, secondo responsabile di macchina, assolto perché considerato affetto «da disturbo delirante in personalità paranoide», potrebbe lasciare a breve l’istituto psichiatrico giudiziario di Genova nel quale era stato recluso per un periodo di dieci anni.
«Già da qualche tempo - spiega una fonte bene informata della zona - circolava la notizia che Della Rasa sarebbe stato rimesso in libertà». Un altro duro colpo per la famiglia di Schettino.
Sulle vere ragioni di quell’orrendo delitto, peraltro, non era mai stata fatta piena chiarezza. Il cargo portacontainer, salpato da Alessandria d’Egitto e diretto a Gijon, nelle Asturie, si trovava in quel momento a 22 miglia al largo della Galizia, in acque internazionali.
Quanto all’assassino, ecco cosa si legge nel suo curriculum: «Andrea Della Rasa, iscritto nelle matricole della Gente di mare di Genova dal 1993, aveva lavorato per 12 anni con Costa Crociere».
Rita Pennarola
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/