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VITERBO / 27-03-2012

LAZIO, VITERBO: INIZIATIVA AFESOPSIT / Presentazione del libro ''Noi c'eravamo. Storie e personaggi del manicomio di Siena''





Ultime news Lazio, Viterbo - UnoNotizie.it - C’è stato un tempo non troppo remoto, in cui per noi viterbesi dire “Siena” significava dire “manicomio”.


Il libro di Civitelli e Ticci si basa sulle testimonianze dirette di operatori che hanno lavorato nell’Ospedale Psichiatrico San Niccolò per oltre trenta anni, fino alla sua chiusura nel 1999. I ricordi professionali e umani vi si intrecciano con le vicende politiche del tempo e con le storie di uomini e donne ricoverati dentro l’O.P.

Molto toccanti le esperienze dei viterbesi trascinati spesso a forza in una città “distante” in tutti i sensi.

Dal testo emergono una umanità profonda e il grande impegno civile di un folto manipolo di coraggiosi operatori che seppero anticipare la legge 180.

Un intero capitolo del libro è dedicato ai rapporti tra arte e follia con preziosi riferimenti all’artista viterbese Carlo Vincenti, la cui opera è ormai da anni oggetto di “riscoperta” per il suo intrinseco valore creativo.




UNA INIZIATIVA

AFESOPSIT

Associazione familiari e sostenitori sofferenti psichici della Tuscia

Sabato 31 marzo 2012 – ore 17.00

La Fattoria di Alice

Strada Tuscanese, 20 - VITERBO

GINO CIVITELLI e FLORES TICCI

presentano il loro libro

NOI C’ERAVAMO

Storie e personaggi del manicomio di Siena

Benvenuto di Vito Ferrante, responsabile AFESOPSIT

Conduce Antonello Ricci

A seguire dibattito

Noi c’eravamo. Storie e personaggi del manicomio di Siena

Edizioni Cantagalli, Siena 2011 (pp. 224, numerose illustrazioni b/n)



Dal testo (p. 131): Nel viterbese era un’usanza consolidata consegnare alle guardie municipali o ai carabinieri che trasportavano il “goio” a Siena, venti coppie d’uova. Nessuno ha mai saputo dirmi perché proprio venti, ma quello era storicamente il compenso per il disturbo. L’uovo, fin dall’epoca etrusca, era simbolo di vita e perfezione, ma in epoca moderna aveva finito per assumere forme più “terrene” di ricompensa e di medicina dei poveri.

Durante le rare visite dei familiari ai loro congiunti ricoverati glielo facevano ingoiare crudo, dentro il parlatorio, per rinvigorire il corpo spossato dalla malattia. Oppure lo utilizzavano per una chiarata in testa, per “sfiammare il cervello”. Anche se non era dimostrato il suo effetto terapeutico, «male non facava, almeno rinforzava i capelli». Cospargere il capo con cenere e un po’ di miele era un’altra pratica dal vago significato penitenziale che era eseguita frequentemente.

I “matti”, più prosaicamente, avrebbero preferito una bottiglia di cannaiola o di aleatico, ma quelle erano cose proibite e facevano male. Si portavano semmai al “caporale” perché avesse un occhio di riguardo per il loro congiunto. Un pomeriggio di Settembre arrivai con un collega in un paesino del viterbese per una visita domiciliare...


Gino Civitelli è nato a Buonconvento nel 1947. Nel 1970 entra come infermiere all’Ospedale Psichiatrico San Niccolò. Dal 1978 insegna alla Scuola Regionale per operatori psichiatrici di Viterbo fondata da Giovanni Jervis. Fra i fondatori di Psichiatria Democratica a Siena, partecipa all’esperienza del reparto Montemaggio e della Cooperativa Riuscita Sociale. È artista visivo nonché autore di numerose pubblicazioni dedicate alla storia di Siena e del suo territorio.

Flores Ticci ha fatto parte del Servizio Sociale dell’Ospedale Psichiatrico di Siena dal 1972 al 1995. In seguito ha lavorato in vari presidi distrettuali della azienda USL concludendo il proprio iter professionale in una unità operativa del Servizio Sociale zonale. Attualmente ha l’incarico di vice delegata per l’Archivio e Documentazione Storica di Contrada.

L’AFESOPSIT, Associazione familiari e sostenitori sofferenti psichici della Tuscia, nasce nel 1993 con l’intento principale di garantire alle persone con disturbo mentale il riconoscimento e l’esercizio dei diritti umani e civili, al fine di poter accedere ad un livello soddisfacente della qualità di vita propria e dei loro familiari. Qualità di vita intesa come risposta concreta ai bisogni fondamentali dell’abitare, lavorare, avere relazioni sociali ed affettive e godere del tempo libero. In altre parole contribuire a tradurre nella pratica quotidiana non solo l’applicazione della legge 180, ma sopratutto lo spirito che la anima, basato sul superamento della logica di separatezza che per lungo tempo ha contrapposto concetti del tipo medico/paziente, operatori sociosanitari/familiari, sano/malato, sapere tecnico/altri saperi, istituzioni/associazionismo... e sull’affermazione di una logica di partecipazione democratica, condivisione, reciprocità, mutualità e collaborazione sinergica. Alle persone con disagio psichico e ai loro familiari, l’Associazione offre accoglienza e ascolto dei bisogni; aiuta a prendere contatto con i vari servizi sanitari e sociali, affinchè venga effettuata la presa in carico non solo della persona in difficoltà ma dell’intero sistema familiare; fornisce loro informazioni riguardo diritti previsti dalla legge (pensione, sussidio...). Offre sostegno psicologico inserendo persone e famiglie all’interno di una rete di auto mutuo aiuto, aiutandole così ad uscire dall’isolamento e dal conseguente senso d’impotenza e disperazione che ne consegue. Promuove, insieme alle equipe multidisciplinari dei vari servizi con cui collabora, la formulazione e realizzazione di progetti individuali. Vigila sulla loro effettiva attuazione, sulle modalità dei processi attivati, sui metodi applicati, in particolare sulla qualità delle relazioni costruite con l’utente e la sua famiglia, sia in ambito pubblico che privato convenzionato. Infine verifica gli esiti di tali trattamenti e percorsi, soprattutto in relazione alla durata degli stessi.

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