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ROMA / 25-05-2012
RAPPORTO ANNUALE ISTAT: COME CAMBIA L’ITALIA / La fotografia di un Italia sempre più povera, impaurita e sola
Le conseguenze del governo tecnico sul volto del paese: negli ultimi quattro anni perso il 5% del potere d’acquisto a causa dei salari immobili. Aumentano la povertà e i single
LAZIO ultime notizie ROMA – unonotizie.it - Stiamo impoverendo e anche l’Istat ce ne dà la conferma ufficiale e, per quanto possibile, scientifica, cioè statistica. Dopo le tragiche conseguenze del ventennio berlusconiano, il colpo di grazia lo stanno infliggendo Monti e Fornero con l’appoggio di quasi tutti i partiti presenti in Parlamento. Ma gli effetti statistici del governo tecnico saranno registrati solo dopo, il rapporto ISTAT riguarda infatti il quadriennio che va dal 2008 alla fine del 2011, periodo in cui abbiamo lasciato per strada il 5% del reddito pro capite. Rispetto al 2007 la perdita sale al 7%, mentre confrontata con il 2002 è leggermente inferiore: -4.
Siamo tornati ai livelli di 10 anni fa con dei redditi nominali sono cresciuti di pochissimo, a causa di retribuzioni contrattuali rimaste ferme. Al contrario, i prezzi, le tariffe e le tasse hanno seguito tutt’altra dinamica. Generando così un divario irrecuperabile nel potere d’acquisto: con un guadagno immutato è possibile comprare sempre meno cose.
Nel leggere il Rapporto annuale, nella sala della Lupa, a Montecitorio, il presidente dell’istituto, Enrico Giovannini, ha dovuto mettere in luce un altro fenomeno che smonta completamente la retorica ufficiale degli ultimi governi (compreso l’attuale) e di Confindustria: tra il 1995 e il 2008 l’Italia ha introdotto tanta precarietà legalizzata nel mondo del lavoro da diventare il paese più «flessibile» d’Europa. Ciò nonostante – o forse proprio per questo – ha smesso di «crescere».
La ragione in fondo è semplice. La produttività del lavoro dipende dagli investimenti fissi da parte delle imprese e dall’intensità della prestazione lavorativa. Un paese che pensa di competere pigiando sul secondo pedale è destinato a perdere, perché più di tanto non si può lavorare; e se si viene pagati poco si consuma anche poco, deprimendo la domanda interna. Le imprese e le banche ci hanno messo molto del loro. Gli investimenti fissi sono caduti, nel solo 2011, dell’1,9%, togliendo così un altro 0,5% a una crescita che sarebbe stata comunque anemica.
L’unica giustificazione accettabile che possono portare è che le banche hanno ristretti drasticamente il credito nella seconda metà dell’anno. Oscilla tra il 35 e il 45% il numero delle imprese che hanno dovuto registrare difficoltà o dinieghi davanti allo sportello, E infatti dal 2000 ad oggi la crescita media è stata dello 0,4% annuo: l’ultimo posto dell’Europa a 27 non ce lo toglie nessuno. Nel decennio precedente, i roaring ninethies , era andata un po’ meglio: 1,8% annuo, meglio solo della Germania alle prese con i problemi giganteschi della «riunificazione». Venti anni di controllo assoluto dei salari e di favori alle imprese hanno prodotto questo «brillante» risultato, che ora si vorrebbe «migliorare» aumentando il dosaggio della stessa medicina deflazionistica.
Anche la povertà non è uguale per tutti. Esplode al Sud, dove si sono persi 200mila posti di lavoro in 15 anni. 23 famiglie su 100 sono statisticamente povere (solo 4,9 al Nord); e per lo l’ intensità della povertà è maggiore. Specie se ci sono 5 persone o più in famiglia. In ogni angolo del paese, comunque, si sta fermando la mobilità sociale.
Chi ha un padre operaio ragne gli stranieri, ma anche genericamente «la criminalità». Anche se lo stesso ministero dell’interno comunica – via Istat – che al contrario sono diminuiti tutti i reati che potrebbe sollevare «paura». Gli omicidi sono quantitativamente crollati (da 2,9 a 0,9 l’anno ogni 100.000 abitanti; ma l’uccisione di donne rimane costante); i furti in casa si sono ridotti del 30% e gli scippi del 75.
L’unico reato che cresce sono truffe, soprattutto clonazione delle carte di credito, bancomat, telefoniche o online. Si vede che le banche hanno prodotto fenomeni di imitazione, oltre a diffondere le occasioni tramite l’ home banking . giunge una professione apicale solo nell’8,5% dei casi. Si iscrive infatti più di rado all’università (il 20,3% contro il 61,9 degli «agiati»). E persino nella scuola superiore – nonostante tasse scolastiche grosso modo uguali per tutti – fanno registrare tassi di abbandono più elevati. Abbiamo perciò 2,1 milioni di giovani Neet (not in education, employement or training) tra i 15 e i 29 anni; il 22,1% di fronte a una media europea del 15. Naturalmente ciò comporta una forte diminuzione delle nascite, anche perché il 41,9% della fascia d’età tra i 25 e i 34 anni vive con i genitori, perché non ha un lavoro che gli permetta di mantenersi.
Diminuiscono perciò i matrimoni, aumentano coabitazioni e separazioni; anche se alla fine sono i single quelli che vivono peggio, specie se donne. E anche se le donne ora al lavoro oggi sono più numerose (l’aumento degli occupati è rappresentato soltanto da loro, di fatto), non per questo hanno raggiunto alcuna «parità»: nei due anni successivi alla nascita di un figlio una su 4 lascia o perde il lavoro. E vanno aumentando (dal 7 al 24%) i licenziamenti motivati con la maternità. È il quadro di un paese imbestialito e impaurito, continuamente sollecitato (da media, partiti, governo) a scaricare su nemici di comodo i timori per un futuro opaco. Vanno bene gli stranieri, ma anche genericamente «la criminalità».
Anche se lo stesso ministero dell’interno comunica – via Istat – che al contrario sono diminuiti tutti i reati che potrebbe sollevare «paura». Gli omicidi sono quantitativamente crollati (da 2,9 a 0,9 l’anno ogni 100.000 abitanti; ma l’uccisione di donne rimane costante); i furti in casa si sono ridotti del 30% e gli scippi del 75. L’unico reato che cresce sono truffe, soprattutto clonazione delle carte di credito, bancomat, telefoniche o online. Si vede che le banche hanno prodotto fenomeni di imitazione, oltre a diffondere le occasioni tramite l’home banking.
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