Meduse, ultime notizie ambiente e mare -
Fino a qualche anno fa lungo le coste degli USA e dell'Australia erano gli squali a tener lontani i bagnanti dalle acque più profonde, oggi sono le meduse a sconsigliare i bagnanti ad avventurarsi in acque profonde qualche centimetro. Le meduse, nuvole di celenterati che stanno letteralmente invadendo oceani e mari di tutto il mondo, sono l'incubo degli ecologi, dei biologi dei mari, dei pescatori, dei tour operator e degli stessi bagnanti. In Italia, per fortuna specie di meduse pericolose che possono portare alla morte come le cubomeduse del Pacifico, non sono ancora arrivate.

Le meduse, apparse sul nostro pianeta oltre 600 milioni di anni fa hanno sempre concentrato la loro presenza nei mari più caldi, senza creare problemi alle specie animali più evolute come i crostacei e i pesci, anzi hanno rappresentato per molti di questi, insieme al plancton e alle alghe, un ottimo alimento. Un equilibrio  durato 600 milioni di anni. Oggi invece assistiamo attoniti ad una profonda e radicale rottura di questo equilibrio: le meduse sono diventate i padroni dei mari del pianeta, di conseguenza mammiferi marini, pesci e crostacei sono stati "messi all'angolo", con il rischio fra qualche decennio di sparire del tutto. Questi esseri, formati dal 90 e più per cento di acqua, non solo rappresentano un pericolo per tutta la biodiversità bentonica e pelagica dei mari, ma anche il lento e inesorabile processo di acidificazione degli oceani.

Ma da cosa nasce questa invasione di meduse in tutti mari del mondo? Due sono le cause principali: la prima è dovuta alla riduzione abnorme dei pesci causata da una irresponsabile attività della pesca che ormai ha ridotto del 40% la fauna ittica marina. Molti pesci, ma anche mammiferi marini, si cibano di meduse, ma quando il rapporto predatori - predati va a vantaggio di quest'ultimi allora accade quello che stiamo vedendo negli oceani e nei mari come il Mediterraneo. L'altro fattore è il riscaldamento globale che ha fatto salire di qualche grado la temperatura media dei mari. Più le acque dei mari sono calde più prolificano le meduse ( esistono tuttavia meduse anche nei mari artici).
Le meduse sono diventate competitrici dirette nella lotta per il cibo nei confronti dei pesci, dei crostacei, nonché dei mammiferi marini; questi celenterati infatti si nutrono di plancton, uova e larve dei pesci. Uccidono anche i microorganismi della decomposizione organica, infatti in Australia carcasse di animali marini sui fondali restano intatte per molto tempo, apportando infezioni batteriche che colpiscono mammiferi e pesci. Oltre a ciò i veleni contenuti nelle vescicole dei tentacoli e filamenti delle meduse possono sterminare intere popolazioni di pesci d'allevamento. Sono molti i casi di morie di pesci d'allevamento relegati in reti per la maricoltura che si registrano nel mondo, anche nel Mediterraneo e in particolare in Spagna due anni fa sono stati distrutti interi allevamenti di pesci in mare aperto.
Esistono anche meduse mortali per l'uomo, ma queste al momento sono più presenti nel Pacifico e in particolare in Australia, tra queste è nota la cubomedusa che con i suoi lunghissimi tentacoli, oltre 10 metri, può causare arresti cardiaci agli sfortunati bagnanti che dovessero incontrarla. Da noi, nel Mediterraneo, da qualche anno è entrata la "Caravella portoghese" una medusa con tentacoli che possono raggiungere i 30 metri e che è pericolosa per l'uomo perché può causare crisi anafilattiche. Tre anni fa in Sardegna è morta una turista che aveva avuto lo sfortunato incontro con questa medusa. Per fortuna la presenza di questo celenterato nei nostri mari è ancora sporadica, invece una medusa urticante molto presente nel Mediterraneo, ma per fortuna non letale, è la Pelagia noctiluca che dal caldissimo 2003 ha ormai colonizzato tutto il Mediterraneo occidentale ( foto ).     Tra luglio e agosto questa creatura  urticante può formare vasti banchi che possono impedire addirittura di bagnarsi a pochi metri dalle spiagge. I maggiori fastidi ai bagnanti in estate sono ascrivibili proprio a questa specie.  Dal Ministero della Salute si apprende che ogni anno almeno 150mila persone in tutto il Mar Mediterraneo vengono soccorse dopo il contatto con questa medusa.
Come riconoscere la Pelagia noctiluca?
L’ombrello misura circa 10 cm, è armato di otto lunghi tentacoli che, estesi, possono raggiungere anche i dieci metri. La bocca è dotata di otto lunghe braccia orali, il colore del corpo è violetto. I banchi sono molto fitti e se arrivano a un impianto di maricoltura, i pesci in allevamento possono essere uccisi. Dato che le meduse mangiano anche uova e larve di pesci, l’impatto sugli stock ittici e sulla pesca può essere devastante.


Per saperne di più, riportiamo l'intervista di uno dei maggiori esperti a livello europeo sul problema meduse, il prof. Ferdinando Boero, rilasciata al giornalista Valerio Congeduti. Il prof. Ferdinando Boero è ordinario di biologia marina presso l'università del Salento.

D. In base alle segnalazioni ricevute, quali risultano le specie più diffuse nei nostri mari?
R. Ogni anno è una storia a sé. lo scorsoanno ci sono stati segnalati diversi spiaggiamenti di Velella, che hanno colorato di blu le spiagge della Liguria e della Toscana, formando chiazze lunghe fino a qualche chilometro. Sempre nel Mar Ligure e nel Tirreno è stata avvistata anche Pelagia, che normalmente vive nei canyon sottomarini, ma che può risalire sfruttando le correnti ascensionali che vengono dal mare profondo. Nell'Adriatico invece abbiamo registrato una prevalenza di Aurelia.

D. Si tratta di specie dannose per gli esseri umani?
R. Velella e Aurelia sono innocue, Pelagia invece è piuttosto urticante.

D. Ma qual è la specie più temibile?
R. La più pericolosa è Physalia, denominata anche Caravella Portoghese, che entra nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra ed è quindi più diffusa nei bacini occidentali, mentre è assente in Adriatico. C'è sempre stata, ma oggi è più presente e ogni anno si registrano casi di bagnanti ricoverati a causa delle punture di questa specie. Nel 2010 c'è stato anche un caso di decesso, l'unico in Italia, probabilmente dovuto a choc anafilattico. Dicendo questo, però, non vorrei che passasse il messaggio che entrare in acqua è diventato pericoloso. Basti pensare che ogni anno c'è gente che muore per le punture di calabrone.

D. Teme di creare allarmismo?
R. Temo solo di crearlo per le ragioni sbagliate. L'aumento delle meduse su scala globale dovrebbe allarmarci per un altro motivo: si tratta di un segnale chiaro e inequivocabile che il pesce sta finendo, per effetto della pesca eccessiva. Questo sì che è un rischio da prendere seriamente in considerazione. Non lo dico tanto per l'ambiente, quanto per l'essere umano: quando il pesce sarà finito, verrà meno anche un'attività economica fondamentale come la pesca.

D. Ci spiegherebbe in che modo il destino dei pesci è legato a quello delle meduse?
R. In primo luogo le meduse sono in competizione con i pesci per il cibo. Allo stadio di larve i pesci mangiano il plancton, di cui si nutrono anche le meduse. Quando i pesci diminuiscono, le meduse hanno meno competitori e quindi aumentano di numero. In secondo luogo, le meduse sono anche predatrici dei pesci, perché ne mangiano sia le uova sia le larve. Insomma si instaura una sorta di circolo vizioso.
D. E cosa si può fare per invertire questa tendenza?
R. Bisognerebbe pescare in modo più responsabile. In Europa già esistono leggi che regolamentano le taglie dei pesci da pescare, i periodi di pesca e gli strumenti da utilizzare. Il problema è che è difficile farle rispettare. C'è un alto tasso di illegalità e quindi chi vuole seguire le regole si trova svantaggiato. Ad esempio si dovrebbe evitare di catturare esemplari giovani, per permettere loro di crescere e riprodursi. Ma il mercato penalizza l'atteggiamento responsabile e allora a prevalere è la logica del “se non lo prendo io, lo prende qualcun altro”.

D. Il rapporto Fao The State of World Fisheries and Aquaculture 2010 evidenzia un incremento costante nella produzione da acquacoltura: dagli 0,7 kg pro capite del 1970 ai 7,8 del 2008. Allevare pesci può rappresentare una soluzione al depauperamento dei mari?
R. Assolutamente no. Il fatto che stiamo passando all'acquacoltura significa semplicemente che le popolazioni naturali di pesci sono state talmente sfruttate che non riescono più a rispondere alle nostre necessità. Ad essere allevate sono quelle specie che ormai scarseggiano in natura, ovvero i grandi carnivori: orate, spigole, branzini, ora persino i tonni. Ma per mantenere questi animali siamo costretti a nutrirli con farina di pesce, ricavata a sua volta da specie più piccole e più abbondanti. È una pratica folle, un po' come se allevassimo tigri e leoni e dessimo loro da mangiare mucche. Ovviamente il rapporto tra tonnellate sottratte al mare e tonnellate prodotte non è vantaggioso.

D. E se invece di grandi predatori allevassimo il corrispettivo delle mucche, ovvero specie erbivore?
R. In tal caso il discorso cambierebbe. Se allevassimo molluschi, come le cozze, e tipi di pesce meno impattanti, l'acquacoltura sarebbe una pratica del tutto sostenibile.

D. E allora perché non lo facciamo?
R. Perché siamo viziati e non vogliamo cambiare le nostre abitudini alimentari. Il pesce erbivoro per eccellenza è la salpa, ma nessuno lo alleva, perché ha poco valore sul mercato. Per trarre profitto dall'allevamento dei pesci, compensando gli alti costi che comporta, conviene allevare specie che si vendono bene. E purtroppo ad avere mercato sono soprattutto le specie carnivore.

D. Insomma una questione di gusti?
R. Più che altro una carenza di educazione alimentare. In Italia stiamo usando male le risorse che i nostri mari ci mettono a disposizione. Il Mediterraneo è ricco di moltissime specie di pesce commestibili, ma noi ne mangiamo soltanto alcune, sempre più difficili da trovare allo stato selvatico. Altre, che pure sono oggetto di pesca, come le acciughe, le sardine e gli sgombri, restano invendute. L'adozione di modelli di consumo più corretti ci permetterebbe di gestire in maniera più avveduta e responsabile le risorse tipiche dei nostri mari.

E se queste meduse le mangiassimo?

In oriente già lo fanno da secoli, qui da noi solo qualche esperimento locale. Tuttavia L'Istituto Superiore di Nutrizione, il CNR e altri enti legati all'alimentazione, stanno per preparare una guida all'alimentazione alternativa dal mare, celenterati compresi. Lo scorso anno l'associazione Mare Vivo ha coinvolto alcuni istituti alberghieri in Campania per sperimentare qualche piatto a base di meduse. E' stato un successo: le ricette capresi-orientali a base di celenterati sono piaciute agli invitati.
Le meduse più commestibili da noi sono l'Aurelia e la Velella, tuttavia, a parte la Caravella Portoghese, tutte le nostre meduse sono eduli, ovviamente private dei loro tentacoli. Le meduse hanno anche proprietà terapeutiche, non ultima quella di abbassare la pressione arteriosa e il livello di colesterolo, agiscono anche sulle articolazioni e sulla pelle.
Si possono servire come sottilissimi spaghetti, in insalate, fritte o al forno. In Giappone con le meduse si fanno anche dei dolci, caramelle e fette biscottate.
Il sapore? Per chi le ha già mangiate descrive come" una gradevole esplosione di mare in bocca". Tuttavia il sapore di mare è gradevole e non intenso, una volta bollita o cotta la medusa perde la parte esterna, che è quella più vischiosa, e rimane il nucleo più resistente che assume la consistenza dell'albume dell'uovo e perde la trasparenza.     
Due anni fa la Fao organizzò a Roma un' importante conferenza internazionale sul tema:   "Come sfamare la popolazione mondiale in continua crescita demografica". Si parlò di insetti definiti come un cibo infinito e ricco di proteine. Si disse che trasformati in farine avrebbero potuto nutrire quasi mezzo pianeta; del resto in alcune parti del mondo già da secoli mangiano insetti, vedi Asia orientale. Ora se i mari si spopolano di pesci a causa delle meduse, perché non pensare a mettere nei nostri menù giornalieri questi celenterati cucinati in varie salse?
Uno scienziato giapponese ha anche prospettato di raccogliere le meduse dei mari, farle essiccare, trasformarle in farine e  alimentare una parte dell'umanità.
Ma se torniamo con i piedi per terra dobbiamo necessariamente riflettere e capire se questa vicenda delle meduse è un'opportunità o un segno del disastro ecologico che sta sconvolgendo il pianeta? Forse il tempo ci darà la risposta.

di Gabriele La Malfa
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