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ROMA / 22-12-2012
PRESAGI E MISTERO: DA VOYAGER ECCO MAYA ED IL 21 DICEMBRE 2012 / Fine del mondo
Tra superstizioni, leggende e paure ci si prepara ad un altro “millenarismo”
ROMA (UNONOTIZIE.IT) Non solo in internet abbondano presagi di sventura legati alla fatidica data del 2012, non solo trasmissioni televisive come Voyager ne fanno uno scoop, ora anche il grande cinema americano esce con un colossal dal titolo proprio 2012.
In tutto questo parrebbe rivivere l’anno Domini 999, in pieno Medioevo, quando santi, santoni e ciarlatani predicavano l’arrivo della fine del mondo terrorizzando la povera gente e un po’ meno i signori e i tiranni di allora. Oggi la gente non è ingenua e credulona come qualche secolo fa, tuttavia avverte un certo disagio in questa società e un’inquietudine per il futuro. Non stiamo all’isteria collettiva, ma in una fase di attesa inconscia per un evento negativo che non sappiamo ancora quale possa essere.
L’effetto serra, i cambiamenti climatici, la grande recessione economica, la bomba atomica iraniana e così via, sono elementi che danno forza a questa nostra paura interiore. E allora perché non credere alla predizione Maya che darebbe per chiusa la storia di questa umanità proprio nel 2012? I Maya del resto hanno sempre previsto e mai sbagliato, se non di pochi minuti e secondi, i fenomeni delle eclissi solari e lunari. La grande eclisse solare del 2001 che interessò il Messico, la più lunga della storia, con quasi 7 minuti di oscuramento totale, era stata prevista molti secoli prima dagli astronomi maya con una imprecisione di appena 30 secondi. Allora avevano previsto “l’eclissi” di questa umanità e, quindi, interrotto il loro calendario proprio al 21 dicembre 2012? Forse avevano visto giusto anche in questo caso?
Ed è proprio la capacità dei Maya a calcolare e predire eclissi ed altri fenomeni cosmici con una certa precisione che preoccupa la gente. Ma c’è chi dice che il 2012 non dovrà essere necessariamente un evento catastrofico, ma una crescita spirituale dell’umanità, un momento in cui la coscienza dell’uomo dovrebbe prevalere sull’istinto materiale. Parole, supposizioni, speranze che qualcosa possa cambiare nella vita collettiva e in quella personale. Oggi più del passato si avvertono queste sensazioni di insicurezza e di sfiducia nel futuro, “…. del doman non c’è certezza …” diceva spesso Lorenzo il Magnifico nel lontano 1470 ed oggi questo ritornello è tornato di moda.
Ma se guardiamo al passato più recente dovremmo chiederci se a noi italiani in pieno boom economico del 1960 con le aspettative della qualità della vita sempre crescenti, una storia del genere avrebbe fatto breccia. Forse sì, ma in toni minori, allora si sperava di migliorare le proprie condizioni di vita in tempi brevi, il lavoro bene o male lo trovavano tutti, con un solo stipendio una famiglia viveva dignitosamente, non c’era la corsa al consumismo sfrenato, non c’erano i rumeni ad attentare alla nostra incolumità giornaliera, si viveva meglio di oggi.
Tutto questo ora non c’è più, c’è la paura di uscire di notte, di non riuscire a pagare le rate del mutuo di casa, di non trovare lavoro o di perderlo e, infine, c’è la paura di entrare nella sempre crescente schiera dei poveri.
Non si tratta della paura “del mille e non più mille”, questa volta si tratta di avvertire quasi l’esigenza di chiudere questa avventura terrestre troppo difficile e piena di delusioni e amarezze. E allora il 2012 diventa quasi un’aspettativa di cambiamento, un’occasione a “voltar pagina”.
L’umanità, nonostante le grandi imprese e i grandi messaggi di amore e di fraternità di molti Avatar apparsi nella storia dell’uomo, da Budda a Cristo, fino a Padre Pio e a Sai Baba, ha sempre disatteso gli insegnamenti di questi illuminati, macchiandosi di crimini orrendi: dallo sterminio degli indios d’America a quello degli Ebrei, dai genocidi di Stalin a quelli di Pol Pot, dalla strage degli Armeni a quelli dei popoli del Darfur. Ha prevalso sempre il senso dell’egoismo esasperato, a volte mascherato da falso altruismo.
Si è cercato sempre di prevaricare il prossimo, alla faccia dei messaggi dei santi ed illuminati. Oggi poi il furbo riesce a fare carriera, ad arrivare prima ovunque a danno degli altri, dei galantuomini e delle persone discrete e civili. In più, la gente comune, onesta e timorosa, non impegnata in scalate politiche ed economiche rilevanti, si sente di contare poco o niente, di essere solo un numero, una persona sola con le proprie illusioni e delusioni, con i propri mali fisici e psichici, incapace di contribuire a migliorare questa società.
Da tutto questo, ad eccezione dei pochi furbi che vivono sulle aspettative e sui sogni degli altri più, si ricava un senso di smarrimento, di impotenza, di rassegnazione, qualche volta di rabbia, ma che poi passa.
Una recente indagine effettuata da una rivista inglese relativamente alla prospettiva di cancellare questa umanità e provare a “rifarne” una nuova, le persone hanno risposto per il 67 % favorevolmente a chiudere il capitolo umanità e a provare ad aprirne una nuova. Il 12% ha dichiarato di non saper decidere, mentre gli altri (pochi) hanno dichiarato che invece questa umanità doveva proseguire senza ridimensionamenti perché andava bene così.
Questa indagine avvalora ancora di più il sentimento di grande disagio che noi tutti da decenni stiamo provando all’interno di questa società. Ecco allora comprendere la necessità di credere in qualcosa che con un colpo di spugna sappia scrivere la parola fine. Una fine però capace di far rinascere dalle ceneri una nuova umanità, più vicina ai sani valori profondi dell’uomo e non schiava delle esigenze degli altri, di quei pochi che sulle disgrazie degli uomini creano i loro imperi finanziari e politici.
Comunque vadano le cose non ci resta che aspettare il 21 dicembre 2012, sperando che si possano finalmente applicare gli insegnamenti dei grandi Avatar che in tremila anni hanno sempre cercato di darci, ma che noi uomini di un piccolo pianeta chiamato Terra abbiamo sempre disatteso e a volte strumentalizzato per altri fini certamente non nobili. A questo punto non ci resta che aspettare.
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