VITERBO / 23-03-2009
DOVEVA MORIRE: IL LIBRO SU ALDO MORO, SCRITTO DA IMPOSIMATO E PROVVISIONATO, PRESENTATO A VITERBO
Il loro libro Doveva morire, pubblicato da Chiare lettere, sarà presentato a Viterbo venerdì 27 Marzo – ore 18.30 - alla Libreria Malatesta
VITERBO (UNONOTIZIE.IT)
DOVEVA MORIRE
di
Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato
CHIARELETTERE
Incontro con Sandro Provvisionato
Libreria Malatesta – ex Ceramiche Tedeschi – Via Tedeschi
Venerdì 27 marzo ore 18.30
testo in esclusiva e a firma di MALATESTA
Interrogarsi sul futuro di questo Paese, significa guardare con lucidità alle nostre imbarazzanti contraddizioni. E’ un’operazione difficile ma, se vogliamo intravedere una luce in fondo al tunnel, dobbiamo farla.
Ogni tassello mancante, ogni mistero italico, non costituisce solo un ostacolo alla giustizia e alla verità. No: sono macigni sull’esistenza di ciascuno di noi.
Ci sono uomini che, più di altri, ci hanno mostrato lampi di verità, uomini che hanno spesso pagato un prezzo altissimo per questo.
La nostra gratitudine non basta: ci vuole attenzione, molta attenzione a non disperdere queste testimonianze. A non renderle vane.
Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, pur diversi per età e ruolo sociale, hanno in comune la testarda ricerca della verità.
Ex magistrato di frontiera, ex senatore, Imposimato ha alle spalle indagini scottanti. Provvisionato, inviato di guerra per il TG5, giornalista e autore televisivo, ha scritto una marea d’inchieste sui nostri misfatti.
Insieme, tornano dopo 30 anni sul caso Moro, scoprendo inediti scenari e raccontando la storia dei 55 giorni che vanno dalla strage di Via Fani alla morte del presidente democristiano. Il loro libro Doveva morire, pubblicato da Chiare lettere, sarà presentato a Viterbo venerdì 27 Marzo – ore 18.30 - alla Libreria Malatesta.
In otto occasioni Moro poteva essere salvato, ma nelle stanze del potere qualcuno tramò perché venisse ucciso. Chi? Ordini di cattura bloccati, i collegamenti provati con la RAF, il ruolo di Cossiga, i verbali del Comitato di crisi nascosti per lungo tempo. Trent'anni dopo, uno dei magistrati più impegnati a dipanare gli infiniti misteri del caso, ripercorre i meandri dell'inchiesta che lui stesso cominciò nove giorni dopo la morte dello statista. Uno sforzo enorme per ricollocare la sua esperienza diretta, in un contesto più ampio di avvenimenti, non solo giudiziari. Se ad assassinare il presidente furono le Br, i mandanti vanno cercati altrove. Bugie, omissioni, depistaggi. Chi muoveva i fili dei tre comitati di crisi del Viminale, pieni di uomini della P2? Chi quelli delle br?
Quella di Aldo Moro fu una fine voluta da troppe persone.
La sua morte fu una disfatta per un’intera generazione di cattolici di sinistra e non solo. Forse con Moro è scomparsa definitivamente quell’Italia incoerente, quella sospesa tra una realtà agricola e un sogno industriale. Quella, per intenderci, uscita dalla guerra con le pezze al culo, ma carica di forza e di speranza.
Le domande che vorrei fare a Provvisionato sono tante, cerco a fatica di limitarmi.
Quando morì Aldo Moro ero un bambino. Mi domandai perché le BR avessero scelto lui. Dopo trent’ anni non sono ancora riuscito a capirlo.
“Una domanda che ne contiene molte altre. In effetti le Brigate rosse, in un primo momento, avevano puntato su Andreotti. Ma questi era troppo protetto. A differenza di Moro, aveva un’auto blindata ed una scorta molto più preparata. Le Br ripiegarono su Moro, dopo aver fatto un’”inchiesta” anche su Fanfani, anche perché Moro era molto più “mobile” di Andreotti. Se quest’ultimo si spostava solo da casa fino alla Camera dei deputati, Moro dalla sua abitazione andava all’Università, tutte le mattine in chiesa, al suo studio in via Savoia, in Parlamento ma anche alla sede della Dc in piazza del Gesù. Insomma c’erano più possibilità di colpire Moro che Andreotti. Quindi quella delle Br fu una scelta, per così dire, anche “tecnica”.
Che lo Stato abbia fatto poco per liberarlo non è esatto. Nel libro scritto con Imposimato (Doveva morire), dimostriamo, carte alla mano, che in almeno in otto occasioni Moro poteva essere salvato, ma che invece non fu fatto nulla, anzi quando la “prigione del popolo” era a portata di mano, le indagini vennero improvvisamente bloccate. Perché le Br rapirono Moro? Perché nel Dna dell’estrema sinistra italiana c’è sempre stata l’idea del “processo alla Dc”, detentrice del poter più assoluto in Italia dal dopoguerra. Questa idea, poi, ben si accoppia al periodo in cui il sequestro avviene: l’inizio dei governi di solidarietà nazionale come tappa conclusiva del processo del compromesso storico tra Dc e Pci.”
C’è un clima strano attorno al fenomeno del terrorismo nostrano. In modo obliquo, il passaggio negli ambiti eversivi è stato, per molti giovani di allora, l’anticamera dell’ingresso nelle stanze del potere.
”Non direi proprio. A meno che per ambienti eversivi si intendano i gruppi dell’estrema sinistra come Lotta continua e Potere operaio che è difficile anche oggi considerare eversivi. Chi ha fatto la lotta armata, nella stragrande maggioranza dei casi, ha pagato il suo debito e ora conduce una vita che definirei piuttosto grama.”
Oggi abbiamo Franceschini, uomo cattolico, alla guida del PD. Aldo Moro è stato uno dei primi ad indicare la strada del dialogo tra cattolici di sinistra e comunisti moderati.
Perché ci sono voluti trent’anni?
”Potrei rispondere che in questo Paese gli anticipatori hanno avuto sempre torto. Moro era il vero “visionario” (in senso positivo) della politica italiana. Aveva costruito la prima apertura a sinistra all’inizio degli anni Sessanta assieme ai socialisti di Pietro Nenni. E’ stato l’uomo del dialogo con l’allora partito comunista. E in qualche modo ha pagato con la vita questo suo vedere oltre il presente.”
La crisi è ovunque, eppure, dalle nostre parti si respira un’aria di decadenza più cupa.
Abbiamo le risorse, prima di tutto morali, per uscirne fuori?
“Istintivamente sono portato a credere di no. Non solo non vedo risorse morali, ma non vedo più la passione politica di un tempo che, certamente, ha portato immensi lutti, ma che animava una classe politica tanto criticata e vituperata ma che almeno era degna di quel nome. Oggi la classe politica italiana non è più eletta dal popolo (abolizione del voto di preferenza), ma nominata dai vertici dei partiti. E nella maggioranza chi sceglie di fare politica lo fa per interesse, più che per passione. Ovvio che le nuove generazioni se ne tengano lontane. Non a caso abbiamo il premier più vecchio d’Europa.”
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