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ROMA / 20-10-2010
Secondo Lei, esistono ancora oggi delle forme latenti di sessismo in politica? E se si, quanto incidono sulla stabilità della democrazia?
Parlare di forme latenti di sessismo riferite al nostro Paese suona, oggi, come un insopportabile eufemismo. Purtroppo siamo nel pieno di una rimonta culturale, guidata dal modello ispiratore dell’attuale governo italiano, di un sessismo non soltanto mal celato, ma addirittura professato come legittimo (es. il già citato On. Stracquadanio che ritiene la bellezza fisica un legittimo tramite per il successo in politica).
Le notorie prese in giro ai danni della presidente del maggiore partito di opposizione, il PD, da parte del presidente del Consiglio, sebbene da più parti liquidate come incontenibile spirito umoristico del Presidente Berlusconi, denunciano la ripresa di una cultura maschilista mai sopita, nella quale il sessismo trasuda dal linguaggio e dai contenuti espressi. E non si tratta soltanto del tema della ‘bellezza/bruttezza’ fisica ad essere costantemente evocato, quanto l’evidente scopo di delegittimare il potere di una donna, l’on. Bindi in questo caso, che in nessun modo si adegua alla cultura sessista preferita dal Presidente del Consiglio (es.: il ringiovanimento estetico, la disponibilità a corrispondere al desiderio maschile, l’essere single e attiva socialmente, coltivare valori etici non disponibili ai compromessi…..)
Queste forme di sessismo, insinuate anche attraverso mezzi umoristici, dalle massime cariche dello stato (il recente esempio della governatrice del Lazio Renata Polverini che si lascia riprendere da tutti i TG mentre a mo’ di badante imbocca il ministro Umberto Bossi) comportano la legittimazione di un modello culturale che nel nostro Paese resiste in molteplici forme: la pressoché nulla presenza femminile nei CdA delle società pubbliche e private, la scarsissima realizzazione dei servizi necessari a liberare il tempo delle donne dai carichi di lavoro e di cura della famiglia, la persistente sperequazione nelle retribuzioni, il costante aumento della disoccupazione femminile accentuato dalla crisi economica, la presenza, sempre più inquietante, di forme contrattuali che costringono le donne a lasciare il lavoro ( vedi la recente indagine di Riccardo Iacona realizzata per Rai 3 – Presa diretta - sui contratti delle compagnie aree che impongono clausole con obbligo a turnazioni insostenibili per le madri lavoratrici CAI, anche con figli da zero a tre anni) sino alla più volte ribadita carenza di rappresentanza a livello istituzionale e politico.
In un simile quadro è lo stesso dettato costituzionale, di uguaglianza di tutti i cittadini, ad essere disatteso. Ne consegue un danno per la democrazia dovuto, nei suoi aspetti basici, alla mancanza di rappresentanza della metà almeno dei cittadini italiani e delle loro istanze di vita. Per non parlare dell’enorme potenziale creativo e culturale, ormai accertato da tanti studi internazionali, che le organizzazioni private e pubbliche italiane perdono a causa dell’assenza di apporto del talento specificamente femminile.
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